SEBASTIANO BOTTARO PRESENTA: EO/HOC IPSO TEMPORE

temporary art concept

Sebastiano Bottaro – Eo/hoc Ipso Tempore

Sebastiano Bottaro, artista di orgini siciliane classe ’93, ha studiato Belle Arti a Roma, dove vive e lavora. La sua ricerca estetica pone le basi  sullo studio di materie come la fisica, la filosofia e la neuro-scienza, attraverso le quali l’artista riesce ad ampliare il suo punto di vista. Centrale importanza hanno nelle sue opere il tempo e il segno, quest’ultimo viene proposto dall’artista in ogni lavoro, come protagonista dello spazio e della forma, segno che viene ripetuto ossessivamente, non per un attaccamento al gesto della ripetizione, ma come simbolo e mezzo per segnare il tempo e/o tutti i tempi del cosmo.

 

Un progetto di Valentina Ferrari curato da Ruggero Barberi

La mostra è il prodotto di una matura riflessione sul gesto manuale – il cui esito è una gestualità consapevole e formalmente codificata – e sulla testimonianza che questo lascia di sé nella sua durata temporale. I presenti lavori hanno un’innegabile matrice grafica – nel senso poietico e manuale del termine – il tutto approntato su un piano di lavoro gelosamente pittorico e autografo. L’artista pertanto coniuga una simile acquisizione stilistica a una
ricerca di stampo metafisico: l’idea di una temporalità che si fa spazio è ciò che costituisce l’elemento concettuale di questa serie. Quanto al gesto considerato per sé, si definisce nei tratti di linee ondulate sostanzialmente omogenee, costituite da picchi, sovrapposizioni – da due a tre – nonché da discrete discontinuità, le quali arieggiano la composizione gestuale e ritmano la quiete del brusio di fondo generato dall’insieme stesso di linee. Si tratta di un gesto che accoglie la lezione sulla cancellatura di Emilio Isgrò – nel campo della poesia visiva – ossia il gesto della cancellatura inteso come vero e proprio mezzo “salvifico” che fa rilucere il contenuto – in questo caso della parola – preservandolo in un annerimento che ricompone e ridistribuisce le priorità discorsive e istanziali tra i livelli di significato. Un gesto che perciò si appropria a sua volta di un chiaro intento affermativo, nella negatività della sua esecuzione. Se nella cancellatura isgroiana la messa in sicurezza del contenuto concettuale e temporale della parola, mutuando le parole di Roland Barthes (1979), effettua una «disattivazione della traccia» semica, nelle presenti tele assistiamo all’assunzione della parentela di quel gesto destinato in questo caso a una riattivazione della sua stessa traccia temporale. Ci si incarica di ostentare, al limite tra il carattere narrativo e un’anti-narrazione più legata al rigore scientifico, quel puro gesto che qui si volge interamente al positivo. Nell’ideazione e nella stesura di tali linee – per necessità ripetitive in qualsiasi variante si adotti –viene espressa una concezione per lo più lineare e quantificabile del tempo. Non si tratta infatti di un tempo nascosto, di un tempo essenziale e neppure psicologico. Qui si verifica una distinta semiosi della temporalità laddove questa si concretizza verso la spazializzazione, dove essa produce spazio; una temporalità che rende aperto il suo segreto e che si configura come un terreno per un qualcosa, tant’è che la messa in moto della traccia temporale delinea su di un secondo piano -reso omologo al primo-stutture tubolari le quali creano e parimenti disfanno le dimensioni spaziali, e in ultima analisi fanno coincidere il piano temporale con quello spaziale tot-Court. Un ulteriore elemento ritmico è fornito dalle fasce laterali dei costrutti, che danno l’effetto di fungere da raccordi modulari della loro scomposizione, precisamente nell’alternanza di inclusioni ed esclusioni dalla visuale. Va notato come simili costruzioni siano esclusivamente parallelepipedi, un dichiarato sbilanciamento nell’ordine simbolico che può suggerire quanto segue: in essi trova luogo la quadratura estetica di un concetto composito. In tal senso non replicano certo «volumi vuoti che indicano nient’altro che sé stessi» (Georges Didi-Hubermann [1992] sulle sculture di Donald Judd, per l’appunto parallelepipedi, sebbene tridimensionali). Per fornire una indicazione intorno al precedente assunto, si può ricordare come persino una metafora spaziale così vaga e che sembra reintrodurre vecchi schematismi simbolico-religiosi sia stata ripresa – per citare i giganti – da Martin Heidegger (1950) e Vasilij Kandinskij (1926). Il filosofo tedesco si esprime proprio in termini di “quadratura” (Geviert), il che lo porterà a sbarrare la parola “essere” con una X. Cielo, terra, divini, mortali sono i partecipanti a questo singolare convito – figure ispirate dalla poesia tedesca. Essere, tempo e spazio sono le nozioni chiamate in causa da questo estremo tentativo di dislocazione del pensierometafisico, nell’ottica della sua Filosofia dell’Evento. Ciò presenta forti e inesplorate analogie con i margini della tela come li interpreta psicologicamente Kandinskij: sopra, sotto, destra, sinistra, laddove i primi due coincidono con la coppia “cielo” e “terra”, mentre l’altra coppia rappresenta idealmente i concetti di “vicinanza” (casa) e “lontananza”, gli stessi indicati dal filosofo per “mortali” e “divini”. Verrebbe da dire che il tutto nella sua semplicità si gioca su questo quadruplice riquadro: processi inaugurali legati a una apertura originale, reciproci attraversamenti fra tempo e spazio, coordinate fondamentali su cui poggia il pensiero e anche la psiche. Su questa base di lettura, dunque, i tabernacoli temporali – come mi piace pensarli – di Bottaro, offrono spunti di meditazione intorno a un territorio speculativo così aurorale e radicale.